“Nel libero mercato deve spettare ai ristoratori la decisione di far pagare il coperto o meno. Prezzi in menu e voci nel conto devono essere decise dall’operatore. Sta poi al consumatore scegliere”. Edi Sommariva, Fipe (2006)
Chiedersi cosa sia la voce “coperto” sul conto da pagare a fine pasto in un ristorante potrebbe sembrare oggi quasi anomalo.
Al termine di un pranzo o di una cena, dopo aver degustato le portate che più si preferiscono scegliendole con cura dal Menù, si passa alla richiesta del conto e al pagamento di un importo pari al prezzo delle vettovaglie consumate e, molto spesso, al costo del servizio.
Nello specifico, si tratta di un importo che varia tra 1.50-2.00 euro, arrivando fino a un massimo di 5.00 euro nei ristoranti gourmet.
Occorre precisare che si tratta di un’abitudine tipicamente italiana: a ogni commensale che occupa un posto a tavola va assegnato il pagamento di un servizio che comprende, in primis, la messa a disposizione di una postazione dove consumare il proprio pasto - al coperto o meno - e tutto ciò che serve per la consumazione: dalle posate, ai piatti al personale di sala.
Non sempre, però, la richiesta di pagamento del coperto viene accettata senza proteste dai clienti, soprattutto dai turisti che si trovano in Italia, desiderosi di assaggiarne la cucina, apprezzata e valorizzata in tutto il mondo.
Per capire il carattere tutto italiano della richiesta del coperto al ristorante, può risultare molto utile dare un’occhiata al passato e rintracciare l’origine del fenomeno in questione. Bisogna sfogliare i libri di storia fino ad arrivare a più di mille anni fa. E’ all’epoca medievale che risalirebbe infatti la prima attestazione d’uso del fenomeno del coperto. Si diffuse allora l’usanza di recarsi nelle osterie, soprattutto nelle giornate di maltempo, portando con sé il cibo da consumare.
Cosa si pagava, dunque? Il servizio di un luogo al coperto e talvolta l’utilizzo delle posate!
Si sarebbe trattato di un contributo richiesto ai viaggiatori che sostavano nelle locande consumando, però, pasti e alimenti portati da casa. Se invece veniva consumato il cibo della locanda, questo contributo veniva già incluso nel conto finale.
In entrambi i casi, dunque, i servizi accessori venivano pagati: ciò che differiva era la modalità di riscossione.
Ma cosa comprende il pagamento della voce del conto più controversa di sempre?
Come indica la stessa etimologia, il “coperto” rappresenta il servizio per eccellenza: la garanzia di uno spazio dove consumare il proprio pasto in tranquillità. A questa prima considerazione se ne legano delle altre: il coperto garantisce la possibilità di usufruire di tavoli e sedie; che dire, poi, della mise en place? Dalle più elaborate alle più semplici, le composizioni in tavola di tutto ciò che occorre al cliente per consumare il proprio ristoro vengono sempre attenzionate dai gestori di ristoranti, assicurando la possibilità di far uso di tovaglie, posate e tovaglioli puliti, e ancora piatti e bicchieri. Inutile sottolineare che nella voce del coperto viene incluso anche il contributo per il lavaggio di ciò che si utilizza.
Alle voci comprese nel coperto va spesso aggiunto anche il cestino di pane servito al tavolo.
C’è chi lo considera un costo extra e chi, invece, ne sostiene l’applicabilità al totale di cibi e bevande scelte. Mentre i primi, infatti, si appellano proprio alle origini storiche per sostenere l’inattualità del pagamento del coperto, considerando che oggi, a differenza di quanto avveniva nel Medioevo, tutte le voci incluse nel servizio, a cominciare dal personale di sala, vengono pagate in autonomia dai titolari, i secondi - i sostenitori del coperto - si appellano al diritto del libero mercato, contestando la legittimità di proibire ai ristoratori la possibilità di scegliere se chiedere o meno il pagamento del coperto.
Un altro argomento di dibattito riguarda il pane in tavola, spesso offerto dai ristoratori: dove inserirlo? Come farlo pagare?
La controversia nasce da una questione: è il coperto che serve effettivamente al pagamento di questi servizi? O si tratta piuttosto di una voce extra, di un surplus di guadagno per i ristoratori, considerando la possibilità che il pagamento dei servizi elencati sopra - mise en place, pane ed altro - sia già calcolato e incluso nel food cost di ogni voce del menù?
A questo proposito una risposta interessante potrebbe giungere dalla FIPE - Federazione Italiana Pubblici Esercizi :
[...] se è una voce tranquillamente eliminabile dagli incassi vuol dire che anche quando c’era se ne poteva fare a meno. Ripeto: è solo un problema di comunicazione. Bisognerebbe far capire ai clienti che nel coperto rientrano spese che l’esercente sostiene, che vanno dal lavaggio delle stoviglie, a quello delle tovaglie e tovaglioli, senza contare l’acqua, l’elettricità ecc.
A ben vedere, i costi inclusi nel coperto sono tutti necessari, fondamentali alla resa del servizio in sala ed essenziali per la clientela.
Considerando, dunque, i dibattiti sopra esaminati, sorge spontaneo interpellare la legge: il coperto è legale?
A tal proposito va detto che sì, il coperto è legale. O meglio, lo diventa perché non esistono normative che vietano ai ristoratori la richiesta di tale contribuzione.
La gestione di questo importo sul menù è a totale discrezione dell’esercente, che può scegliere liberamente di farlo pagare all’utente oppure no.
L’unica normativa in vigore prevede però l’obbligo, da parte del ristoratore, di indicare sul menù l’eventuale presenza del coperto e il suo costo, così come disposto dall’art. 18 del Regio Decreto n. 635/1940.
A ben vedere, dunque, la "tassa" più controversa del menù nei ristoranti è legale, purché esplicitamente inserita tra i costi nel menù.
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